Alessandro Del Piero: dall’inferno alla rinascita!

Più volte su queste pagine ci siamo occupati di lui, ma alla luce dei risultati raggiunti quest’anno sia a livello personale che di squadra, Alessandro Del Piero merita un capitolo a parte nella rubrica dei più grandi numeri 10.

Al momento, con Totti fermo fermo ai box, Alex è sicuramente quanto di meglio ci possa essere nel panorama calcistico nazionale e chi continua ancora ad avere dei dubbi sulla sua classe può tranquillamente accomodarsi sulla poltrona dell’antijuventino a prescindere.

Ed ora alzi la mano chi avrebbe scommesso un centesimo sulla sua ripresa completa dopo il grave infortunio di 10 anni fa in quel di Udine. “Finito” è il termine che più spesso è stato accostato al nome di questo campione, che si è dannato l’anima per tutto questo tempo, per dimostrare di essere ancora Alessandro Del Piero, il talento di San Vendemiano.

Samp-Juve 3-3: Del Piero capocannoniere (per ora)

E’ giunta l’ora! Oggi finalmente conosceremo il nome della Regina del campionato, in un duello a distanza che correrà per novanta minuti sull’asse Parma-Catania. Di fronte alla lotta scudetto tutto passa il secondo piano, persino una gara giocata in anticipo per non “disturbare” la visita del Papa a Genova.

Ma Sampdoria e Juventus ce l’hanno messa tutta per attirare l’attenzione sullo stadio Marassi, giocando una gara a viso aperto, in cui i punti in palio non servivano a muovere una classfica già pienamente soddisfacente per entrambe.

Alla fine il campo dirà 3-3 ed il risultato rispecchia in pieno una gara ben giocata e ricca di emozioni, con tre rigori assegnati e magie da una parte e dall’altra che valevano, come si suol dire, il prezzo del biglietto.

Eusebio: la pantera nera

Erano gli anni del grande Real Madrid di Alfredo di Stefano che furoreggiava per tutta l’Europa, facendo man bassa di trofei. Erano gli anni del grande Brasile di Pelè già due volte Campione del Mondo e squadra di grandi talenti.

Eppure in quegli anni una nuova stella si affacciava sul panorama internazionale mettendo in riga gli illustri colleghi. Stiamo parlando di Eusebio Da Silva Ferreira, detto semplicemente Eusebio o, se preferite, “la pantera nera”.

Nato in Mozambico e naturalizzato portoghese, è il più grande talento del calcio lusitano, capace con il suo stile di gioco di incantare le platee di tutta Europa e di strappare applausi a scena aperta. Scoperto giovanissimo nel suo paese d’origine, venne portato in Europa dallo Sporting Lisbona, che trovò nell’africano l’elemento su cui fondare una squadra di primissimo livello.

Arthur Antunes Coimbra: semplicemente Zico

Arthur Antunes Coimbra, questo il suo nome, ma nessuno lo chiama più così da anni, come da tradizione brasiliana, che vede affibbiare dei nomignoli a tutti i suoi campioni. Per tutti lui è ed è sempre stato semplicemente Zico, il Galinho, uno dei più grandi campioni che questi occhi hanno visto calcare un campo di calcio.

Era il primo giugno del 1983 quando l’Udinese annunciò al mondo di aver acquistato l’asso trentenne del Flamengo, stella di prima grandezza nel panorama internazionale. Lo precedeva, nel suo viaggio in Italia, la fama di più forte giocatore brasiliano di quel periodo, capace con la maglia del suo club di segnare oltre 600 gol, che gli permisero di conquistare il titolo di capocannoniere per ben 11 volte consecutive.

L’Italia lo aveva ammirato nei Mondiali in terra di Spagna dell’anno precedente, quando il suo Brasile di fenomeni cadde sotto i colpi di Paolo Rossi, che per tre volte infilò la porta verdeoro, nel suo cammino vincente verso la notte magica del Bernabeu. Fu quello il secondo dei tre Campionati del Mondo disputati da Zico, che può vantare con la maglia del Brasile uno score di tutto rispetto, con 52 gol messi a segno in 72 partite ufficiali.

Mauro Matias Zarate: il giovane talento che sceglie il Qatar

Storia bizzarra quella di Mauro Matias Zarate, attaccante argentino poco più che ventenne, protagonista di una scelta di vita a dir poco inconsueta per il calcio moderno.

Ma andiamo per ordine, ripercorrendo le tappe della sua carriera sin dagli esordi nelle giovanili del Velez, quando muoveva i primi passi su un campo di calcio, seguendo l’esempio dei suoi tre fratelli. Non la solita storia dell’argentino che cresce nei sobborghi di Buenos Aires, cercando un riscatto nel calcio: Mauro proviene da una famiglia piuttosto agiata, in cui il pallone rappresenta una professione più che un divertimento.

Suo nonno era un nazionale cileno mentre suo padre giocava nell’Indipendiente dell’Avellaneda; dei suoi fratelli, solo Sergio Fabian ha appeso le scarpette al chiodo, dopo, tra l’altro, una breve permanenza in Italia nell’Ancona, gli altri due ancora calcano i campi di gioco con alterne fortune.

Cristiano Lucarelli: da bandiera a traditore!

Era l’estate del 2003 quando Cristiano Lucarelli realizzò il sogno inseguito per una vita intera, passando dalla maglia granata del Torino a quella amaranto del Livorno, sua città natale. La squadra in quella stagione militava nella serie cadetta, ma lui era fiero di indossare quella casacca e di poter contribuire a far tornare grandi i colori della società. 29 reti in 41 partite (ad un solo gol dal capocannoniere Toni che giocava nel Palermo) contribuirono a riportare la squadra nella massima serie dopo ben 55 anni di assenza.

Da qui nasce l’amore dei tifosi per questo centravanti tutto muscoli e potenza, che l’anno successivo rifiutò l’offerta miliardaria del Torino che lo voleva indietro, giurando amore eterno alla squadra ed alla città. Ne valse la pena, visto il bottino di reti che potè accumulare a fine stagione (24 in 35 partite) che gli permisero di vincere il titolo di capocannoniere: non male per essere il centravanti di una neopromossa!

Altrettanti gol nella stagione successiva in cui il suo pubblico non smetteva mai di esaltarlo, invitando il ct della nazionale Marcello Lippi a convocarlo per i Mondiali di Germania. Alla fine dovette seguire il trionfo mondiale dell’Italia dalla poltrona di casa sua, ma per i tifosi era comunque un re, l’unico su cui contare sempre, la bandiera della squadra.

Thierry Henry tra rivelazioni e dichiarazioni d’amore

Mai calciatore fu rimpianto quanto lui nella Torino di fede bianconera: 11 milioni di sterline incassati con la certezza di chi sta facendo l’affare del secolo, mandando via un giocatore sovrastimato.
Era il 1999 e la Juventus si apprestava a cedere Thierry Henry all’Arsenal, solo pochi mesi dopo il suo arrivo a Torino. Qualche apparizione nella Juve di Ancelotti, dove era utilizzato prevantemente sulla fascia, ruolo che non predilige e in cui non si esprime al meglio.

L’offerta dell’Arsenal arrivò come una manna dal cielo per la società convinta di aver preso un grosso abbaglio in fase di acquisto. E il buon Henry preparò la sua valigia e partì, intenzionato a dimostrare altrove il suo talento calcistico. Questo almeno è ciò che trapelò all’epoca dei fatti.

Ora le rivelazioni del francese fanno luce su quel capitolo rimasto tristemente aperto nel cuore di chi lo ha visto giocare e vincere con altre casacche.
La Juve voleva tenerlo e lui sarebbe stato felice di restare se l’allora direttore generale della società, Luciano Moggi, non lo avesse di fatto costretto ad andar via. Non entra nei particolari Henry, ma spiega che Luciano gli mancò di rispetto e lui chiese di essere ceduto.