Gianni Rivera: il Golden Boy del calcio italiano

di Redazione 1

Non si può parlare di grandi numeri 10, escludendo lui, numero 10 per eccellenza del calcio italiano, considerato a furor di popolo uno dei migliori protagonisti della sua epoca, forse addirittura il più grande del calcio italiano di tutti i tempi. Ho già espresso la mia opinione al riguardo, eleggendo Roberto Baggio a numero uno della mia personale classifica, ma chi ha visto giocare Gianni Rivera è pronto a giurare che un altro come lui non è ancora nato.

Bandiera del Milan, il suo nome verrà ricordato nei secoli accanto a quelli di Franco Baresi e Paolo Maldini, in un club che pure ne ha visti di grandi campioni. 9 stagioni con la maglia rossonera con la quale ha vinto praticamente tutto, portando il Milan ai vertici del calcio italiano e internazionale e togliendosi parecchie soddisfazioni a livello personale.

Proveniva dall’Alessandria, squadra della sua citta natale, ed il suo trasferimento fece notizia: 60 milioni di lire più la cessione di tre giocatori. Stiamo parlando dei primi anni sessanta e nessuno mai era stato pagato tanto. La stampa inglese coniò per lui il soprannome di Golden Boy, che il buon Gianni ancora si porta dietro, sebbene abbia raggiunto le 65 primavere.


Passaggi precisi e smarcanti per la gioia degli attaccanti, ottima visione di gioco, doti di palleggio impressionanti, insuperabile nel gioco di prima, dribbling a iosa, tiri precisi e finte ad ingannare il povero avversario di turno: queste le caratteristiche di Rivera, che con le sue doti di regista era un punto fermo e insostituibile della squadra.

Nel 1969 vinse il Pallone d’Oro, primo italiano a conquistare l’ambito riconoscimento, dopo averlo sfiorato nel ’63, quando finì nelle mani di Yashin, ormai a fine carriera e quindi “omaggiato”, con una specie di premio alla carriera.

Nonostante la sua grandezza ed il talento puro, in Nazionale non riuscì ad ottenere il successo che avrebbe meritato. La sua sfortuna fu quella di giocare in un periodo in cui l’Italia abbondava di giocatori nel suo ruolo, primo fra tutti, Sandro Mazzola. L’interista aveva buone doti in mezzo al campo ed era impossibile costruire una squadra, facendo a meno delle sue qualità. Per Valcareggi fu un vero dilemma la scelta tra i due, visto che a suo dire non potevano giocare insieme.

Era l’estate del 1970 e l’Italia era spaccata in due: Mazzola o Rivera? Il buon Ferruccio riuscì a risolvere il problema, inventando la famosa staffetta: Mazzola nei primi 45 minuti, Rivera nel secondo tempo. La soluzione non accontentava nessuno, ma l’Italia andava avanti e macinava risultati e bel gioco.

Nella semifinale con la Germania, Gianni entrò nel secondo tempo e, dopo aver praticamente procurato un gol per gli avversari, andò a prendersi tutti gli onori, mettendo a segno la rete del definitivo 4-3. Mancavano solo 90 minuti per poter alzare al cielo la Coppa del Mondo, bastava “solo” superare l’invincibile Brasile. Mazzola era stanco di fare la doccia alla fine del primo tempo, ci teneva a giocare la finale per intero e chiese quindi ai compagni di squadra di perorare la sua causa. Valcareggi accettò i consigli dei suoi calciatori e mise fine alla soluzione che tanti buoni frutti aveva dato fino ad allora.

Rivera rimase in panchina fino al 39′ del secondo tempo, quando ormai l’Italia era sotto per 3-1 e quando entrò, al posto di Boninsegna, nulla poté fare per ribaltare il risultato. Il Brasile segnò ancora e vinse il Mondiale, mentre in Italia c’è chi ancora oggi si chiede che partita sarebbe stata se Rivera fosse entrato prima.

Purtroppo non lo sapremo mai, ma una cosa è certa: nessuna squadra si poteva permettere il lusso di rinunciare ad uno come Gianni Rivera, che avrebbe potuto giocare persino da esterno, riuscendo a dare ugualmente il suo contributo alla causa.

Commenti (1)

  1. per me Gianni Rivera
    è stato dopo Pele,uno dei più grandi talenti della storia del calcio
    e vorrei tanto avere una sua email per potergli scrivere
    Auguro a voi tanti auguri renato

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