Il calcio miete un’altra vittima, anche se da più parti
si è parlato di tragica fatalità, che poteva capitare a chiunque, in qualunque circostanza. Rimane il fatto che il corpo sdraiato sull’asfalto
è quello di un tifoso del Parma e a causarne la morte è stato
un pulmann di tifosi juventini. Inutile parlare di colpe, perché dai racconti degli stessi amici di
Matteo Bagnaresi, si capisce che si è trattato di un incidente,
uno sfortunato ed evitabile incidente.
Ma il dubbio è lecito: Matteo sarebbe morto lo stesso, se le due tifoserie non si fossero incontrate? E ancora: l’autista avrebbe fatto la stessa azzardata manovra, se non fosse stato costretto a sottrarsi dalla furia dei tifosi gialloblu? Per chi crede nel destino, la risposta è semplice, ma non venite a raccontarci che il calcio non c’entra. Resta il dolore per una vita spezzata, l’ennesima “vittima del tifo”, che va ad allungare una già lista infinitamente nutrita.
Morti stupide, avvenute in un momento che dovrebbe essere di aggregazione e che si è trasformato troppo spesso in tragedia, lasciando a terra giovani, la cui unica colpa era quella di amare e seguire la propria squadra del cuore. La serie infinita di vittime si apre nel 1963, quando in una gara per la promozione in serie B, Giuseppe Plaitano, tifoso della Salernitana, venne ucciso da un colpo di pistola sparato in aria dalla polizia. Giuseppe non era tra i facinorosi scesi in campo per protestare contro una decisione arbitrale. Era rimasto seduto in tribuna, eppure pagò con la vita l’amore per i colori granata.