Associazione Sportiva Roma

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Associazione Sportiva Roma

6 GIUGNO 1927. E il dì di seguito, 7 giugno.
Giorni frenetici e concitati, istanti impressi nelle pagine della storia del calcio italiano e scolpiti nelle menti di chi, da lì a un battito di ciglia, si sarebbe potuto definire tifoso della Magica. Il calcio laziale era fino ad allora rappresentato da quattro club: la Società Fascista Fortitudo Pro Roma, l’Alba Audace, il Roman Football Club e la Lazio. Ma l’idea, in qualche maniera, parve geniale fin da subito: fare di quattro squadre differenti un’unica struttura, unire forze e obiettivi, procedere insieme. Le trattative vennero avviate in modo repentino. Quattro mura per quattro presidenti: Italo Foschi per la Fortitudo, l’onorevole Ulisse Igliori per l’Alba Audace, l’avvocato Vittorio Scialoja per il Roman Football Club e Giorgio Vaccaro per la Lazio.
6 giugno 1927. E il dì di seguito, 7 giugno.
A partorire il progetto, Italo Foschi. Rimaneva da convincere la Lazio, unico tra i quattro club a mostrare resistenza. Ci si provò con insistenza la sera del 6 giugno, quando sei rappresentanti della Fortitudo – convocati negli uffici della Lazio, Via Tacito – cercarono di ammorbidire le posizioni della dirigenza meno attratta dalla prospettiva di unificare i club ma quel meeting si concluse con la presa d’atto che con Giorgio Vaccaro non si riuscì a trovare alcun accordo. Raccontano i ritagli di giornale gelosamente custoditi in archivio:
Il nuovo club deve chiamarsi Lazio Fortitudo”, parole di Vaccaro.
Non se ne parla. Il nome c’è già: Associazione Sportiva Roma”. Replica secca, decisa di Foschi: nessun margine di trattativa. In quelle tre parole, era inclusa ciascuna delle caratteristiche che avrebbe dovuto trasmettere la nascente società: impregnata di passato e tradizione – l’Associazione Sportiva – con un occhio spalancato sul futuro, da costruire dopo aver voltato pagina. Roma stava lì proprio per rappresentare quel futuro; la novità a cui garantire una investitura ufficiale.
7 GIUGNO, MATTINA. Foschi contatta Renato Sacerdoti, dirigente del Roman e banchiere del “Banco Sacerdoti”. A lui, il compito di reperire i fondi da destinare nel nuovo progetto. Poi, l’incontro. Presso via Forlì 16, in casa di Foschi. Oltre al referente della Società Fascista Fortitudo Pro Roma, erano presenti anche Ulisse Igliori, presidente dell’Alba-Audace e Vittorio Scialoja, in rappresentanza del Roman Football Club. Fu questione di sguardi, di firme, di brindisi. Era appena nata la A.S. Roma.
Primo Presidente ufficiale, eletto per nomina, Italo Foschi.
Un anno soltanto e, siamo nel marzo 1928, l’A.S. Roma si ritrova con un nuovo presidente a primavera appena iniziata: Renato Sacerdoti succede a Italo Foschi e diventa il secondo Presidente della squadra. Con la stagione 1929/30 viene varata ufficialmente la serie A: 18 squadre iscritte in un unico girone. Con esso inizia l’era di Campo Testaccio: nuovo stadio a ridosso del Rione Trastevere, più facile da raggiungere rispetto al Motovelodromo Appio. Corsi e ricorsi storici: Testaccio è il quartiere in cui è nato Claudio Ranieri (attuale tecnico giallorosso) mentre a progettare quello stadio fu l’ingegnere Silvio Sensi, padre di Franco e nonno di Rosella, ultimo presidente della Roma in ordine di tempo. L’impianto viene inaugurato il 3 novembre 1929, con la vittoria sul Brescia per 2-1 mentre è nella stagione 1939-40 che i capitolini vi disputano l’ultimo campionato: l’addio è datato 30 giugno 1940, Roma-Livorno 2-1. Un decennio che ha immortalato nei cuori del popolo romanista calciatori del calibro di capitano Attilio Ferraris IV, Guido Masetti, Fulvio Bernardini, Rodolfo Volk. Nel complesso discrete stagioni e nessun successo. Ma la gioia indelebile è lì, dietro l’angolo.
1941/42. Il primo scudetto della storia capitolina. Ma non sono solo sorrisi. ll primo graffio storico della Lupa si mescola al dramma di una Seconda Guerra mondiale dagli esiti tragici. Il campionato del 1941. Tra un’incarcerazione e una fucilata, sulla massima poltrona della società si sedette Edgardo Bazzini. Ancora: dal Testaccio, dove i capitolini avevano fino ad allora disputato tutte le partite casalinghe, al Nazionale (ubicato dove ora sta il Flaminio). Bazzini da Parma, funzionario Agip tira fuori un carattere da vendere e intuizioni vincenti. La prima: confermare in panchina l’allenatore austriaco Alfred Schaffer. La seconda: campagna acquisti lungimirante. La terza: dare piena fiducia a uno che, giallorosso, lo era fino al midollo. Amedeo Amadei, bandiera della Roma: 386 presenze, 101 reti, l’esordio in serie A all’età di 15 anni, 9 mesi e 6 giorni. Non era mai accaduto che il tricolore finisse sotto la pianura padana. 14 giugno 1942. Ultima giornata.
Roma-Modena 2-0.
Sapere come andò ai granata non serve neppure: capitolini campioni d’Italia.
ANNI GRIGI. Poi, tra una sospensione e l’altra causate dalla Guerra, cominciò a farsi strada il Grande Torino che avrebbe dominato il resto dei Quaranta. La Roma finisce in mano a Pietro Baldassarre: dal 1944/45 al 1948/49, risultati mediocri ma ancora nulla a confronto di quanto accade un paio di stagioni più in là. Nel 1950/51 i giallorossi conoscono l’onta della cadetteria inanellando in campionato una serie di sconfitte di misura (11 gare perse per 1-0). Al fine di invertire il trend negativo, torna a sedersi sulla poltrona di vertice Renato Sacerdoti a riprendere la guida della società. Immediata la risalita nella massima serie. Sono gli anni di Alcides Ghiggia e del bomber Dino Da Costa ma, ancor di più, diventa la Roma del difensore Giacomo Losi, soprannominato Core de Roma in seguito a una gara vinta contro la Sampdoria e nel corso della quale segnò nonostante un infortunio. I numeri di Losi: secondo in assoluto per numero di presenze – davanti gli sta solo Francesco Totti – con 386 gare disputate di cui 299 da capitano (dal 1954 al 1969) e due gol all’attivo (in carriera nemmeno una espulsione). Gli anni cinquanta, tuttavia, non fruttano altro che una serie di piazzamenti compresi tra il sesto e l’ottavo posto. Un trofeo, invece, lo si vince agli inizi dei Sessanta: stagione 1960/61, la Roma partecipa alla coppa delle Fiere, i capitolini si aggiudicano la doppia finale contro il Birmingham City in virtù del 2-0 nella sfida di ritorno dopo che l’andata si era chiusa sul punteggio di 2-2. In quel periodo, i giallorossi avevano già cominciato a disputare le gare interne allo stadio Olimpico, inaugurato il 17 maggio 1953.
COPPA ITALIA. Immediatamente successive le prime due vittorie in coppa Italia: la prima nel 1963/64 ottenuta ai danni del Torino, la seconda nella stagione 1968/69 con formula all’italiana (nel girone dei giallorossi il Cagliari, il Torino e il Foggia). Sono da un lato le uniche soddisfazioni a salutare il decennio dei Sessanta e dall’altro l’apripista al record detenuto attualmente dalla Roma (in condivisione con la Juventus), relativo al numero di trofei nazionali inanellati. Nove (con sette secondi posti):  i restanti sette vengono conquistati il 17 maggio 1980 (Roma-Torino 0-0, 3-2 d.c.r); il 17 giugno 1981 (gare di andata e ritorno: in finale Roma-Torino, i tempi regolamentari si chiudono con due 1-1. Decisivi ancora i rigori, 2-4 per i capitolini); il 26 giugno 1984 (doppia sfida Roma-Verona, decisiva la gara dell’Olimpico); il 14 giugno 1986 (Sampdoria-Roma 2-1; Roma-Sampdoria 2-0); il 9 giugno 1991 (Roma-Sampdoria 3-1; Sampdoria-Roma 1-1); il 17 maggio 2007 (Roma-Inter: andata 6-2; il ritorno è pura formalità, vittoria di misura dei nerazzurri per 2-1); 24 maggio 2008 (si torna alla sfida unica giocata per prassi all’Olimpico di Roma: i giallorossi hanno la meglio sull’Inter e vincono 2-1).
DINO VIOLA. Neppure gli anni Settanta potranno essere ricordati per i risultati conquistati sul campo, tutt’altro: la Roma arranca e fatica a tal punto che il soprannome di Rometta, che comincia a circolare in ambito giornalistico, pare calzare a pennello. E’ un lento procrastinarsi fino alla fine del decennio e, soprattutto, verso una nuova dirigenza che acquisisce il club nella stagione 1979/80. Comincia l’era di Dino Viola e, con essa, inizia il periodo griffato Nils Niedholm. Oltre alle due coppe Italia, il duo regala alla Roma il secondo scudetto della storia. Stagione 1982-83, i giallorossi sono reduci dal secondo posto dell’anno prima e sembrano aver trovato la quadratura del cerchio dal punto di vista tecnico e tattico. Di quella squadra fanno parte Agostino Di Bartolomei, Carlo Ancelotti, Paulo Roberto Falcao, Pietro Vierchowod, Roberto Pruzzo e Bruno Conti da Nettuno con una fede griffata di giallo e di rosso. A quarantuno anni dal primo titolo, la Roma tornò protagonista in campionato. Si comincia il 12 settembre 1982. Il pronostico dei più si direziona verso Fiorentina, Juventus e Inter ma chi incanta fin da subito sono in realtà i giallorossi e il Verona, appaiati al primo posto in classifica fin dalle prime sfide. Il girone d’andata si chiude con la Roma in vetta e i veneti a seguire con un punto in meno. Nella fase di ritorno, tuttavia, il Verona molla (chiuderà quarto) né Inter e Juventus riescono a rimontare il vantaggio acquisito dalla rosa di Liedholm che festeggia il tricolore l’8 maggio in virtù del pareggio per 1-1 a Genova contro il Genoa. E’ festa grande anche per il diritto a prendere parte alla Coppa dei Campioni che segnerà, l’anno successivo, in maniera indelebile il pubblico giallorosso.
ROMA-LIVERPOOL. Si dice che alcune sconfitte riescano a essere incancellabili tanto, se non di più, quanto i successi più grandi. Seconda in campionato, vincitrice della coppa Italia, la Roma approda in finale di Coppa Campioni nell’anno in cui il destino ha voluto che si disputasse nella capitale. Di qua i giallorossi, che avevano liquidato in semifinale il Dundee United grazie a una strepitosa gara di ritorno (3-0 a ribaltare lo 0-2 incassato in Scozia); di là il Liverpool, capace di vincere le resistenze della Dinamo Bucarest. E’ il 30 maggio 1984, 69.693 spettatori gremiscono l’Olimpico in ogni ordine di posto. Gara tirata fin dalle prime battute, ma al primo affondo i Reds passano con Philip Neal (13’). In un clima surreale, fatto di silenzi improvvisi e incitamento disordinato e incessante, la Roma guadagna metri di campo e rinvigorisce la manovra con il passare dei minuti. E’ il 42’ quando Pruzzo consente a tre quarti di stadio di esplodere di gioia per la rete del pareggio giallorosso. Ogni cosa – campo, sensazioni, cabala – sembra suggerire il lieto fine ma, dopo una ripresa tattica e tirata in cui il risultato non cambia, occorrono i calci di rigore. Di Bartolomei e Righetti segnano;  Conti e Graziani no. Il Liverpool ne infila quattro di fila dopo aver sbagliato il primo. La coppa è per la quarta volta nella storia degli inglesi. Dimenticare quel giorno, quelle lacrime, quel mescolio di emozioni contrastanti e intensissime non si può. Ne seguiranno altre a fare il paio con istanti di piena gioia e immenso dolore ma la compattezza del pubblico che pareva un tutt’uno e la dignità sportiva di quella notte meritano di essere custoditi in un “per sempre”.
ERA SENSI. Si chiude un biennio memorabile per cercare di riaprire un ciclo con un nuovo tecnico – Sven Goran Eriksson – e simboli cacistici destinati a rimanere scritti nella storia del club. I trofei in bacheca sono – stagioni 1985-86 e 1990-91 –  due coppe Italia, i volti indelebili diventano quelli di Giuseppe Giannini, Aldair e Rudi Völler. La morte di Dino Viola – Roma 19 gennaio 1991, tumore all’ intestino – spalanca i portoni di un caos societario che si acuisce con l’arresto del nuovo proprietario, Giuseppe Ciarrapico, nel 1993 per bancarotta fraudolenta. Pare un declino, invece sta per cominciare l’era di Franco Sensi.
Novembre 1993. Fece in fretta, la società capitolina, a marchiargli un cuore già incline verso quel binomio di colori. Già incantato da una storia familiare secondo cui papà Silvio prima partecipò alla fusione delle tre società da cui sarebbe nata la Associazione Sportiva Roma e poi, ingegnere di professione, fu parte attiva in fase di progettazione e costruzione del campo di Testaccio. Franco Sensi, per la Roma, mise in campo affetto spassionato. Simile propensione – istintiva, amorevole – fruttò uno scudetto. 2001. Per Sensi senior, quel traguardo ha avuto senza alcun dubbio un significato particolarissimo. Vincere a Roma pareva impensabile.

A quel punto, il vincolo con il trascorso giallorosso di papà Silvio si fece sentire immediato, repentino. Filo conduttore che trovava il migliore dei perchè. Però. Si dice che fu appena dopo il trionfo acquisito nell’anno seguente al Giubileo che Franco Sensi si ammalò. Quando la salute si fece sempre più cagionevole e i debiti stavano sempre lì (con incremento anch’esso crescente), un conciliabolo familiare tra leggenda e realtà definisce ancora meglio quel che fu il legame tra Sensi e la Roma. Fiutato il pericolo che il resto della famiglia potesse pensare di sbarazzarsi del club, si narra che moglie e figlie vennero chiamate a rapporto. Franco Sensi: “Qualunque cosa accada, fatemi morire da presidente della Roma”. Al suo funerale si presentarono oltre 5 mila persone. Roma – quel giorno – chinò il capo in segno di lutto. Neppure i laziali dimenticarono di rendere omaggio al Presidente giallorosso. Con i Sensi, da Balbo (primo acquisto) ad Adriano (ultimo arrivato), sono giunte due coppe Italia, due Supercoppa di Lega e uno Scudetto (4 Coppe Italia e 2 Supercoppa Italiana perse in finale), conquistato il 17 giugno 2001.
Dal 1996 al 1997 la guida della Roma passò da Carletto Mazzone a Carlitos Bianchi: i risultati furono  disastrosi. Quando lo spettro della B si avvicinò minaccioso, Franco Sensi richiamò il Barone Liedholm, assistito da Ezio Sella per salvare la stagione. Nell’estate del 1997 firmò per la Roma Zdenek Zeman, giunto a Trigoria dall’altra sponda del Tevere. Il “4-3-3“ del boemo regalò ai giallorossi un gioco spumeggiante che portò a siglare 136 reti in due anni. Un quarto e un quinto posto sono il bottino del tecnico. Nel 1999 la squadra viene affidata a Fabio Capello: gli acquisti di Nakata, Montella e Antonioli preparano il campo al trionfo del secondo anno. Lo scudetto torna sulle maglie giallorosse dopo 18 anni nella stagione 2000/01, il primo del nuovo millennio, grazie anche agli ingaggi di Samuel, Emerson e Batistuta, l’investimento più oneroso della gestione Sensi (70 i miliardi versati nelle casse della Fiorentina), possibile anche con l’ausilio del denaro garantito dall’ingresso in Borsa: è l’estate del 2000 quando Franco Sensi porta la Roma a Piazza Affari. Capello resta a Roma 5 anni: una delle squadre più forti ma in bacheca si aggiunse solo una Supercoppa Italiana nell’anno del dopo scudetto.
Nella stagione 2004-05 (serie A a venti squadre) e iniziò un campionato tribolato che si conclude con la salvezza alla penultima giornata. L’annus horribilis ancora doveva iniziare ma a scuotere i tifosi giallorossi ci pensarono le dimissioni di Cesare Prandelli, scelto come sostituto di Capello (volato alla Juventus)  e costretto a lasciare Trigoria per vicissitudini personali. Lo sostituisce Rudy Voeller che, dopo una manciata di partite, torna in Germania. Squadra affidata a Luigi Delneri. A seguito di una serie di sconfitte, il tecnico friulano venne sostituito dal già tesserato Bruno Conti che riuscì a salvare la Roma dalla serie B.
Dal 2005, dopo un anno nelle zone basse della classifica,si torna ad assaporare i piani alti della serie A grazie a Luciano Spalletti, voluto fortemente dalla dirigenza romanista. La scarsa disponibilità di liquidi non impedisce di mettere le mani sui cartellini di Taddei e Doni; Pizarro, Tonetto, Cassetti e Vucinic; Cicinho e Juan; Julio Baptista e Menez. A ciò va sommata l’esplosione di Daniele De Rossi, al pari di Francesco Totti proveniente dal vivaio giallorosso. E’ il periodo delle imprese sfiorate con 3 secondi posti in tre anni, due coppe Italia ed una Supercoppa. Nell’estate 2008 Rosella Sensi (dopo la scomparsa di Franco) diventa presidente della A.S. Roma, seconda donna a dirigere le sorti della squadra capitolina: prima di lei Flora Viola, la vedova di Dino. Il rapporto tra presidente e allenatore si logora e Spalletti, alla terza di campionato della stagione 2009/10 si dimise da allenatore della Roma: al suo posto venne chiamato Claudio Ranieri.

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Per il testaccino, finora, un campionato esaltante, quello del 2009-10: secondo posto alle spalle dell’Inter dopo una straordinaria rimonta. A fare da collante, nell’ultimo quindicennio, la figura di Francesco Totti, ultima bandiera in attività assieme ad Alessandro Del Piero:  una carriera con la casacca capitolina diventando il miglior realizzatore di tutti i tempi e l’uomo con più presenze nell’intera storia giallorossa, in campionato e nelle coppe europee (smetterà fra cent’anni, il capitano, e con lui non vedremo più neppure la casacca che contraddistingue da sempre i giocatori più talentuosi perchè la Roma ritirerà per sempre quel numero). L’epilogo amaro è dovuto ai debiti accumulati nel corso degli anni dalla famiglia Sensi, costretti a rinunciare al club. Cominciare con una data, chiudere il cerchio con l’ennesimo accostamento di “giorno, mese, anno”. Il punto e a capo è stato ufficializzato a Milano: 17.45 di lunedì 26 luglio 2010. Italpetroli (di proprietà dei Sensi, tanto quanto la Roma) e Unicredit hanno sancito l’intesa cercata da tempo rispetto all’estinzione del debito che la holding petrolifera ha accumulato nei confronti dell’Istituto di credito. Il debito del gruppo che ha fatto capo alla famiglia Sensi non esiste più: 325 milioni di arretrato evaporati da un istante all’altro. Italpetroli è di Unicredit. Nelle mani della banca, in una fase di interregno temporanea e il più rapida possibile, ci finisce anche la Roma. Il prossimo patron? Si dice: imprenditori statunitensi professionisti impegnati nel settore dello sport, Giampaolo Angelucci coadiuvato dall’advisor Banca Imi o Fondo Aabar.

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CURVA SUD. Quella porzione dell’Olimpico diventa “casa” del pubblico di fede giallorossa nel 1977. Una marea bicolore richiama cromatismi che riportano al giallo del sole, al rosso della passione. Si dice da sempre che la Roma non si discute, si ama. Si dice da che non ve n’è memoria che la Roma è una fede. Espressioni che sono servite a spiegare, nel corso degli anni, che non sono le vittorie (in fin dei conti limitate) ad alimentare il legame tra tifoso e club. Trovarsi a Roma in qualche frangente della vita e non passare per quella porzione d’Olimpico vorrebbe dire andare via senza aver vissuto qualcosa che, almeno una volta, va provato. Cos’è la Sud? A margine della recente vittoria interna della Roma contro il Bayern Monaco (Champions League, 3-2 in rimonta), avrei detto così:

La Sud è il vezzo di un profeta che riscrive gli avvertimenti del destino. Era un bambino, il Capitano, nell’85. Neppure noi c’eravamo. E il fiato? E’ sempiterno il fiato? Rigore, vai Francè. No, l’ha pijato. Ma chi? Ha segnato.  L’Olimpico è memoria che racconta la Roma. Tancredi, Conti, Bonetti, Nela, Chierico, Ancelotti; 45’ e sono ancora lì. Mexes, Burdisso, Cassetti, De Rossi,  Borriello, Totti. La Sud è Impero capitale di un eterno scritto a milionate di fiati che tramandano “io c’ero”.

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