Liam Brady: un gentleman alla corte della Vecchia Signora

di Redazione Commenta

Era il 1980 e l’Italia ricominciava a parlare straniero, dopo anni di strenuo nazionalismo. La Juve tentò di arrivare a Diego Armando Maradona, intoccabile, inavvicinabile, ed il viaggio in Argentina di Boniperti si rivelò vano. La scelta cadde dunque su Liam Brady, irlandese dell’Arsenal, che tanto bene aveva fatto in terra inglese, tanto che il suo presidente tentò in tutti i modi di trattenerlo.

Sette stagioni con i Gunners, impreziosite dalla conquista nel 1979 della Coppa d’Inghilterra che gli valse, a livello personale, l’elezione a giocatore dell’anno. Ma il richiamo della Vecchia Signora era troppo ghiotto da rifiutare ed il 31 luglio del 1980 Liam sbarcò all’aeroporto di Caselle, pronto per la nuova avventura.

In panchina c’era Trapattoni a guidare una squadra di campioni affermati e di giovani promesse. Rossi, Bettega, Cabrini, Tardelli, Furino, Fanna: sono solo alcuni dei nomi della Juventus di quegli anni, ma, nonostante la fama dei suoi compagni di squadra, Brady riuscì ad inserirsi in fretta.


Gran parte del merito lo si deve al suo compagno di stanza, capitan Furino, che come racconta Vladimiro Caminiti:

gli insegnò gli stimoli alla lotta, facendolo scaldare al fuoco dell’emulazione e cominciò a giocare alla grande, disimpegnando il suo piede mancino da vicino e da lontano, con sicura maestria. Certo, poco appariscente ed, a voler essere obiettivi, spesso pigro nel corso della stessa partita: come “Furia” andava a soffiargli nelle orecchie con la sua voce grattata, Brady riprendeva la sua corserella, svelando doti di centrocampista di impulso ed anche di agonismo sicuramente superiori alla media.

Ma non era un agonista puro e faceva della classe la sua arma vincente, con tocchi vellutati a smarcare i compagni, mettendoli nella condizione di rendersi pericolosi. Difficilmente tentava la battuta a rete e lo dimostrano gli otto gol nella prima stagione ed i cinque nella seconda. Pochi certo, ma se andiamo a contare gli assist e le giocate divine, possiamo capire quanto il suo apporto sia stato fondamentale nella conquista dei due scudetti consecutivi.

Nella storia è rimasto un episodio relativo al secondo scudetto di Brady in maglia bianconera. Era l’aprile del 1980, mancavano tre giornate alla fine del campionato e l’irlandese venne informato dell’acquisto di Platini a partire dalla stagione successiva. Qualche giorno prima era stato comprato Boniek e, non potendo essere schierati tre starnieri nella stessa squadra, era lui la vittima sacrificale, colui che, nonostante un altro anno di contratto, doveva far posto al francese.

Si arrivò all’ultima e decisiva giornata con Juventus e Fiorentina a pari punti in vetta alla classifica. I viola erano impegnati a Cagliari, mentre la Juve scendeva a Catanzaro per giocarsi le chances-scudetto. Orecchio teso alla radiolina ed il risultato che non si sbloccava su nessuno dei due campi. Ma a metà ripresa ci pensava Boscolo a dare una mano (nel vero senso del termine) ai bianconeri.

Rigore! E quando tutti si aspettavano Paolo Rossi o Cabrini, ecco avanzare Liam Brady, pallone in mano, pronto a battere il penalty che significava seconda stella sulla maglia.

Avevo due scelte, due possibilità: fare il professionista e calciare bene il rigore, oppure fare il bambino stupido e rifiutarmi di calciare o, peggio, sbagliare volutamente il tiro. Ho scelto di fare il professionista, ho tirato ed ho fatto gol.

Ed i tifosi juventini ancora ringraziano: grande professionista, grande gentleman e grande uomo! Mitico Liam!

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