Mourinho racconta se stesso

di Redazione 1

Foto: AP/LaPresse

Christian Panucci ha realizzato una lunga intervista a Josè Mourinho che è andata in onda per la prima volta ieri sera su Sky. Al di là di quello che si può pensare dello Special One, è interessante perché permette di conoscere meglio la sua storia.

Non c’è stato un momento in cui ha deciso di diventare allenatore. All’inizio come tutti i bambini voleva diventare un giocatore. Poi ha iniziato a capire che

potevo essere un fenomeno quando giocavo con i miei amici vicino a casa mia, ma quando passavo al campionato organizzato diventavo un giocatore come tanti altri.


Poi è successo altro

Ho capito che anche da giovane ero più allenatore in campo che giocatore. Organizzavo la squadra, dicevo chi doveva giocare qua e chi là.

Insomma

ero un po’ più un leader che propriamente un giocatore.

Il suo apprendistato da allenatore è stato graduale – e facilitato dal fatto che il padre di Mourinho è stato un giocatore di calcio -:

mio padre mi chiedeva di andare a vedere gli avversari e di fare la relazione e questo mi sembra un modo molto importante di imparare a leggere la partita e di imparare a esprimere quello che vedevo.

E continua

Poi ho iniziato a lavorare nel settore giovanile. Dopo mi è arrivata la possibilità di andare come assistente in prima squadra. Tutto è stato graduale e, esperienza dopo esperienza, mi arrivava sempre un’opportunità più difficile.

Fondamentale il periodo passato al Barcellona, come aiutante prima di Robson e poi di Van Gaal

Sono arrivato in una squadra che aveva Stoichkov, Ronaldo, Figo, Popescu etc… Una squadra di gente al top e tu impari tantissimo con i dubbi dei giocatori, parlando con loro, con le domande che i giocatori ti fanno. Per me è stata un’esperienza assolutamente fantastica e mi ha aiutato a essere più preparato per l’esperienza successiva.

Ritornato in Portogallo finisce al Benfica, ma lascia dopo poche partite, perché cambia il presidente della squadra. Dopo va nel Leiria, una squadra che lotta per non retrocedere. Con lui la squadra è terza, poi in dicembre cambia squadra – in Portogallo è possibile farlo – e finisce al Porto.

Raggiunge il terzo posto e l’anno successivo il club compra dodici giocatori – tutti portoghesi – che saranno alla base dei successi di quegli anni. Come racconta Mourinho:

Era solo Vitor Baia che con i suoi 32 anni aveva già vinto qualcosa, però tutti gli altri zero. E dopo, insieme, abbiamo vinto campionato, coppa Uefa, Champions League, abbiamo vinto tutto con una squadra che è partita da zero prima di arrivare.

E lì è nato lo Special One.

Commenti (1)

  1. Mai nome è stato più azzeccato.La differenza tra lui e gli altri la vedi soprattutto quando LUI non c’è più.Ne sappiamo qualche cosa noi interisti.MOU è distante anni luce dagli altri.
    Grazie per averci fatto far parte dei tuoi progetti grande ed unico Special One…….

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