Da Pelè a Bobby Moore: la scaramanzia nel calcio (capitolo secondo)

di Redazione 1

Aruna Dindane non segna più? Colpa di un maleficio! Sembra una storia di altri tempi e invece stiamo parlando di un calciatore ivoriano, attualmente in forza al Lens, che dall’ 8 dicembre scorso non riesce più a buttarla dentro, nonostante faccia il bomber di professione. Per tentare di liberarlo dall’influenza malefica di qualche marabutto, sono state sacrificate due povere pecore ed un tacchino, ma sembra che non si sia ottenuto il risultato sperato.

Lo so, viene da sorridere, ma la superstizione fa parte da sempre del mondo del calcio, anche se pochi ammettono di avere dei riti propiziatori, per attirare la fortuna ed allontanare i guai.

Ne avevamo già parlato tempo fa, ma gli episodi sono tali e tanti, che forse vale la pena dedicare un secondo capitolo all’argomento. E non aspettatevi solo nomi semi-sconosciuti tra queste righe, perché la scaramanzia non ha risparmiato nemmeno giocatori come Pelè o Bobby Moore, che certo non avevano bisogno di talismani per dimostrare il proprio valore in campo.


Storia curiosa quella legata al nome dell’asso brasiliano, che regalò la sua maglia ad un tifoso, ma, sceso in campo, giocò al di sotto del suo talento e perse la partita. Colpa della maglia! Chiese allora ad un amico di rintracciare il tifoso per farsi rendere il prezioso cimelio. L’amico tornò con la maglia nemero 10 tra le mani, raccontando a Pelè tutte le peripezie che aveva dovuto superare per riuscire nell’intento. O Rey indossò la maglia, scese in campo e segnò il gol della vittoria, ma l’amico non ebbe il coraggio di confessare che la maglia era la stessa indossata nella partita precedente.

Il rito scaramantico di Bobby Moore, invece, era legato ai calzoncini, indossati sempre per ultimo prima di scendere in campo, tra l’ilarità dei compagni di squadra, che lo vedevano girare in mutande per lo spogliatoio, per assicurarsi che tutti li avessero messi.

Ma non solo indumenti portafortuna. C’è addirittura chi ha rinunciato alla fascia di capitano, pur di continuare a ripetere il suo rituale. Jack Charlton era solito entrare per ultimo sul terreno di gioco e, accettando il ruolo di capitano della squadra, avrebbe dovuto rompere la tradizione, entrando per primo. Se la cavò con un “no, grazie” e la fascia finì sul braccio di Billy Bremner.

Lo sapevate poi che anche uno stadio può essere considerato maledetto? Ne sa qualcosa il Derby County, che giocava su un terreno precedentemente occupato da una tribù di zingari, che vennero cacciati proprio per costruire l’impianto. Negli anni seguenti la squadra perse in casa 4 semifinali e 3 finali di coppa, per colpa della maledizione lanciata dagli sfrattati. Nel ’46 il Derby arrivò di nuovo in finale, ma stavolta il capitano della squadra pensò bene di far liberare il campo dall’influsso negativo. Risultato? 4-1 per la squadra di casa e coppa alzata al cielo!

Un episodio curioso anche in casa Italia, durante i Mondiali del 1982. Oltre ai baffi fatti crescere e poi tagliati da Gentile e al santino nei parastinchi di Tardelli, c’era anche un rito propiziatorio collettivo: Bruno Conti si inginocchiava in mezzo allo spogliatoio e urlava: “Chi si estranea dalla lotta” ed il coro dei compagni rispondeva “E’ un gran figlio di…”. Il giorno della finale, però, il rito venne cambiato ed al posto del romanista, venne fatto inginocchiare il capitano, Dino Zoff. Sappiamo tutti come andò a finire, a dimostrazione che i riti scaramantici possono anche essere cambiati, se scende in campo una squadra di leoni!

Commenti (1)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato.

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>